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Immissione in libera pratica di beni con consumo in altro Stato Ue

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L’articolo 67, comma 1, lettera a), del D.P.R. 633/1972 qualifica come importazioni soggette a Iva le operazioni di immissione in libera pratica, vale a dire quelle operazioni con le quali viene attribuita la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria e che implicano l’applicazione delle misure di politica commerciale (verifica delle licenze d’importazione, assenza di divieti, sussistenza e capienza di contingenti, ecc.), l’espletamento delle altre formalità previste per l’importazione di una merce (controlli sanitari, fitosanitari, ecc.) e l’applicazione dei dazi legalmente dovuti secondo la normativa comunitaria.

Anteriormente alle modifiche operate dalla L. 217/2011, le operazioni di immissione in libera pratica si consideravano in sospensione d’imposta se relative a beni con destinazione in altro Stato membro della Ue. Con i novellati commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 67 del D.P.R. 633/1972, la sospensione d’imposta è confermata, ma è stato espressamente previsto che deve ricorrere una duplice condizione, essendo richiesto:

  • sotto il profilo oggettivo, che i beni siano trasferiti in altro Stato membro, anche eventualmente dopo l’esecuzione delle manipolazioni usuali, purché previamente autorizzate dall’autorità doganale;
  • sotto il profilo soggettivo, l’operatore nazionale, al momento dell’immissione in libera pratica, fornisca il proprio numero di partita Iva, il numero di identificazione del cessionario comunitario, nonché – su richiesta dell’autorità doganale – idonea documentazione che provi l’effettivo trasferimento dei beni in altro Stato membro.

Dal confronto con le corrispondenti disposizioni contenute nell’articolo 143 della Direttiva 2006/112/CE, si desume che la sospensione d’imposta è applicabile non solo quando i beni importati siano inviati nello Stato membro di destinazione in esecuzione di una cessione intracomunitaria “in senso stretto”, ma anche in dipendenza di un trasferimento per esigenze dell’impresaex articolo 41, comma 2, lettera c), del D.L. 331/1993. Da questo punto di vista, anche se il comma 2-ter dell’articolo 67 del D.P.R. 633/1972, nell’individuare il set minimo di informazioni da fornire all’autorità doganale, richiama il numero di identificazione del cessionario comunitario, è da ritenere – in linea con l’articolo 143, par. 2, della Direttiva 2006/112/CE – che l’importatore italiano sia tenuto a comunicare il numero di identificazione che gli è stato attribuito nello Stato membro di destinazione dei beni oggetto di trasferimento a “se stesso”.

Un’ulteriore differenza è data dal riferimento alle manipolazioni usuali contenuto nella norma interna, ma non in quella comunitaria, verosimilmente perché tali prestazioni non incidono sulla natura merceologica dei beni, che restano “tal quali” (R.M. 555048/1993) e, quindi, sono riconducibili alla medesima voce doganale (Cassazione, sentenza 16114/2007).

Le modalità di compilazione della dichiarazione doganale da parte dell’importatore in caso di immissione in libera pratica di beni destinati al consumo in altro Stato membro (cd. “regime 42”) sono state chiarite dall’Agenzia delle Dogane con la nota n. 3540 del 2014.

Nella casella 37 del modello DAU occorre riportare il codice “42”, fermo restando che per beneficiare della sospensione dell’Iva all’importazione occorre indicare nella casella 44 del modello DAU:

  • il numero di partita Iva dell’importatore preceduto dal codice “Y040”, ovvero il numero di partita Iva del suo rappresentante fiscale preceduto dal codice “Y042”;
  • il numero di identificazione Iva del cessionario debitore d’imposta stabilito nello Stato membro di immissione in consumo preceduto dal codice “Y041”. Nell’Allegato I alla nota dell’Agenzia delle Dogane, viene specificato che si tratta del numero identificativo del cliente che è debitore dell’imposta sull’acquisto intracomunitario a norma dell’articolo 200 della Direttiva 2006/112/CE e che, in particolare, tale numero identificativo è quello del debitore dell’imposta nello Stato membro di destinazione dei beni, tant’è che – secondo la nota – il codice Paese da riportare nella casella 44 della dichiarazione doganale deve essere un Paese comunitario coincidente con quello indicato nella casella 17 della dichiarazione stessa (Paese di destinazione).

Nella casella 44 deve essere, inoltre, riportato il codice “Y044” per indicare il contratto di trasporto ai fini della prova dell’effettiva destinazione dei beni in altro Stato membro. Tale informazione, pur non rivestendo carattere obbligatorio, può essere richiesta dall’Ufficio doganale, qualora ritenuta opportuna per la corretta applicazione del regime.

La nota dell’Agenzia delle Dogane ha precisato, infine, che i numeri identificativi Iva corrispondenti ai codici “Y040”, “Y041” e “Y042” devono essere validi nell’archivio VIES (VAT Exchange Information System), in quanto l’iscrizione dell’importatore e dell’acquirente nella suddetta banca dati è un presupposto indispensabile per essere identificati come soggetti passivi Iva ai fini degli scambi intracomunitari.

 

FONTE : Euroconference

di Marco Peirolo – 19 maggio 2017