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Esportazioni in triangolazione e trasporto dei beni fuori dall’UE

Nelle operazioni in triangolazioni all’esportazione, la condizione del trasporto dei beni al di fuori del territorio dell’Unione europea, indispensabile per beneficiare del regime di non imponibilità Iva di cui all’articolo 8, comma 1, lett. a), D.P.R. 633/1972, è stata nuovamente affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4408 del 23 febbraio 2018, confermando il principio in base al quale, “per configurare una cessione di beni non imponibile, (…) non è essenziale (…) che vi sia la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto, piuttosto, che vi sia la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti”.

La norma richiamata, nel richiedere che i beni siano trasportati al di fuori della UE “a cura o a nome” del primo cedente nazionale, è interpretata in modo non univoco dalla prassi amministrativa, da un lato, e dalla giurisprudenza, dall’altro.

Fermo restando che l’articolo 13, comma 1, L. 413/1991, con norma di interpretazione autentica, stabilisce che, ai fini della detassazione, non conta che la fattura relativa al trasporto dei beni all’estero sia emessa nei confronti del primo cedente o del cessionario nazionale, l’Amministrazione finanziaria, con un “approccio formalistico”, ha costantemente affermato che i beni oggetto di esportazione si presumono consumati in Italia – con la conseguente imponibilità della cessione interna – se il promotore della triangolazione ne acquisisce la disponibilità prima dell’invio all’estero.

In pratica, il contratto di trasporto deve essere necessariamente stipulato dal primo cedente (risoluzione AdE 115/E/2011 e risoluzione 51/E/1995), ma più recentemente è stato ritenuto che l’operazione beneficia della non imponibilità anche quando il promotore della triangolazione stipula il contratto su mandato ed in nome del primo cedente; in questo caso, infatti, il promotore agisce quale mero intermediario del primo cedente, senza mai avere la disponibilità dei beni, ove al vettore sia affidato l’incarico di ritirare la merce presso il primo cedente e di consegnarla al destinatario finale non residente (risoluzione AdE 35/2010).

La tesi dell’Amministrazione subisce un’eccezione nel caso in cui i beni, prima del trasporto in territorio extra-UE, siano sottoposti a test e collaudi da parte del cessionario italiano.

Il caso tipico è quello del contratto di “fornitura-appalto”, stipulato per la costruzione di macchinari e attrezzature realizzati dal fornitore, con propri mezzi, sulla base delle indicazioni del cliente (nella specie, il promotore della triangolazione). Si tratta di una tipologia contrattuale da considerare assimilata, agli effetti dell’Iva, alla cessione di beni (risoluzione 500462/1992), sicché il beneficio della non imponibilità, nel rapporto tra i due operatori nazionali, resta subordinato alla circostanza che i beni siano inviati all’estero a cura o a nome del primo cedente.

Nell’ipotesi in esame, in cui i macchinari e le attrezzature siano sottoposti, da parte del promotore, a test e collaudi finalizzati a verificarne la conformità ai requisiti tecnici previsti in sede contrattuale, deve ritenersi confermato il regime di non imponibilità. Tali controlli, secondo la risoluzione 72/E/2000, costituiscono, infatti, “meri fatti tecnici diretti esclusivamente a garantire la qualità ed il funzionamento dei beni prima della loro spedizione”, in quanto tali non idonei a presumere la consegna in Italia.

La giurisprudenza è, invece, pervenuta ad una diversa conclusione, privilegiando l’aspetto sostanziale dell’operazione in triangolazione.

Con un orientamento ormai consolidato, ribadito dalla citata sentenza n. 4408/2018, la Suprema Corte ha affermato che, affinché un’operazione triangolare possa qualificarsi come cessione non imponibile, l’espressione letterale “a cura” del cedente va interpretata in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente (al di fuori, cioè, di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente) decidere di inviare i beni al di fuori della UE.

Pertanto, non è necessario che il trasporto avvenga in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, essendo essenziale solo che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, secondo la comune volontà degli originali contraenti, come cessione nazionale in vista del trasporto/spedizione al cessionario residente all’estero (Cass. n. 14405/2014; Cass. n. 23735/2013; Cass. n. 13331/2013; Cass. n. 14186/2013; Cass. n. 6898/2011; Cass. n. 24964/2010; Cass. n. 24964/2010; Cass. n. 4098/2000).

Anche gli arresti della giurisprudenza della Corte di giustizia riconoscono il trattamento di non imponibilità della cessione interna a prescindere dal soggetto che abbia la disponibilità dei beni durante il trasporto/spedizione a destinazione del cliente finale non residente (causa C-587/10, VSTR; causa C-430/09, Euro Tyre Holding; causa C-245/04, EMAG Handel Eder), mettendo definitivamente in luce che è l’esistenza della triangolazione, desumibile dalla volontà delle parti, che garantisce la tutela del divieto di immissione in consumo in Italia, senza che abbia alcuna rilevanza il soggetto nella cui disponibilità rientrano i beni da inviare in territorio estero.

Occorre, però, sottolineare che, nonostante la posizione “liberista” della giurisprudenza, gli Uffici continuano ad adottare l’interpretazione più restrittiva fondata sul dato letterale della norma, per cui – al fine di evitare possibili contestazioni in sede di controllo – è opportuno che gli operatori si adeguino alle indicazioni della prassi amministrativa.

Si richiama, al riguardo, la risposta resa dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte ad una istanza di interpello del 7 agosto 2013, secondo cui, “nonostante numerosi interventi di giurisprudenza abbiano affermato che ai fini della non imponibilità di un’operazione triangolare sia sufficiente provare che la stessa fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale sia stata voluta come cessione nazionale in vista del trasporto ad un acquirente residente all’estero, l’Amministrazione finanziaria non ha mutato l’orientamento espresso con la Risoluzione n. 35/2010 citata (…).

Il comportamento tenuto dai soggetti della triangolazione, dunque, non sembra essere in linea con il disposto normativo di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), del Dpr n. 633/1972, ai sensi del quale il beneficio della non imponibilità è subordinato alla circostanza che i beni siano spediti o trasportati “a cura o a nome del cedente”, né con i principi espressi dalla Risoluzione n. 35/E del 2010.

Pertanto si ritiene che nella fattispecie in esame la cessione interna dei beni tra il fornitore A e il cessionario B non rientri nel regime di non imponibilità previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera a), del Dpr n. 633/1972”.

Fonte: Euroconference

di Marco Peirolo – 30 giugno 2018