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Il destinatario finale guida il trattamento IVA della triangolazione

La sentenza della Corte di giustizia relativa alla causa C-386/16 del 26 luglio 2017 (Toridas) assume particolare interesse perché evidenzia, sia pure non esplicitamente, quale sia il limite applicativo dell’esenzione da IVA prevista nello schema della triangolazione comunitaria.
Nella triangolazione comunitaria, intervengono tre soggetti identificati ai fini IVA in tre diversi Paesi membri dell’Unione europea. A fronte di un unico trasferimento fisico dei beni (dal primo cedente al cessionario finale), si verifica un duplice trasferimento di proprietà, ossia dal primo cedente al promotore della triangolazione e da quest’ultimo al proprio cliente.
L’articolo 138, par. 1, della Direttiva esenta da IVA, siccome aventi natura intracomunitaria, “le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”. La stessa previsione è contenuta nell’articolo 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993, che considera non imponibili in Italia “le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta o di enti, associazioni ed altre organizzazioni (…), non soggetti passivi d’imposta”.
Specularmente, dal lato passivo, l’articolo 20 della Direttiva n. 2006/112/C qualifica gli acquisti intracomunitari come “l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene” ed, in linea con questa previsione, l’articolo 38, comma 2, del D.L. n. 331/1993 definisce gli acquisti intracomunitari come “le acquisizioni, derivanti da atti a titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro titolo reale di godimento sugli stessi, spediti o trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero dall’acquirente o da terzi per loro conto”.
Se, quindi, la detassazione resta applicabile alla prima cessione anche quando il trasporto nel Paese di destinazione è organizzato dal soggetto intermedio, si ha che la prima cessione assume natura intracomunitaria – ed è quindi esente da IVA – anche se avviene con clausola “franco partenza”. La detassazione nel Paese membro di origine si giustifica, infatti, in considerazione della clausola “franco destino” applicata alla seconda cessione, essendo il trasporto nel Paese di destinazione finale dei beni organizzato dal soggetto intermedio.
A prima vista, sembrerebbe che questa conclusione sia disattesa dalla sentenza della Corte di giustizia resa nella causa C-386/16 in esame.
Il caso è quello di una società lituana che cede i beni ad una società estone con consegna in Lituana, quindi con clausola “franco partenza”. A sua volta, la società acquirente cede i beni ai propri clienti, identificati ai fini IVA in altri Paesi membri, organizzando il relativo trasporto “a destino”.
Dai fatti di causa si desume che la società lituana, dopo la cessione, custodisce i beni in attesa del loro trasporto nel Paese di destinazione finale, che deve avvenire entro 30 giorni.
Nella descritta situazione, in cui il primo cedente assume la veste di depositario dei beni, è legittimo ritenere, in linea con l’indicazione della Corte, che la corrispondente cessione sia imponibile, con esenzione limitata alla seconda cessione, alla quale è riconducibile il trasporto intracomunitario organizzato dalla società estone.
Questa conclusione, però, non deve essere generalizzata, non valendo nell’ipotesi “ordinaria” di triangolazione comunitaria, che ricorre quando la vendita “a catena” è promossa dal soggetto intermedio a seguito dell’ordine di acquisto del proprio cliente.
L’operazione complessivamente posta in essere deve, cioè, nascere – affinché anche la prima cessione sia esente – su impulso del destinatario finale dei beni e non, come nel caso risolto dai giudici di Lussemburgo, su impulso del soggetto intermedio che si rivolge al proprio fornitore prima di avere individuato il cliente al quale rivendere i beni nel frattempo acquistati.
Insomma, se la struttura dell’operazione è quella “corretta”, la seconda cessione, anche se realizzata quando i beni sono ancora collocati nel Paese di partenza, non oblitera l’esenzione applicabile alla prima cessione, che resta tale a prescindere dalla clausola pattuita (franco partenza o franco destino).
Laddove, invece, la prima cessione sia imponibile, l’effetto interruttivo che si verifica nella vendita “a catena” implica che il soggetto intermedio debba identificarsi ai fini IVA nel Paese di partenza dei beni per porre in essere la cessione intracomunitaria.

FONTE : Euroconference

di Marco Peirolo e Stefano Garelli – 10 agosto 2017